Malga Ciapela - la soluzione finale

Malga Ciapela - la soluzione finale

Sto scalando in val d'Aosta da qualche giorno, e oggi sono in una piccola falesia dal nome imprecisato. Sento ormai da qualche ora dei dolori allo stomaco, che di li a qualche giorno si riveleranno in una dolorosa gastrite!

La mia estate inizia cosi: riso in bianco e patate, ma non tutto il male vien per nuocere e capisco subito che è un occasione irripetibile per perdere un po' di chili e provare quindi qualche bel progetto in falesia. Con il passare dei giorni, come previsto, il peso scende e di riflesso la forma fisica aumenta, complici anche alcuni allenamenti specifici al trave.

Con i dolori ormai scomparsi e una buona dose di determinazione andiamo a scalare con la solita combriccola a Malga Ciapela, un bel muro non molto lungo inclinato a circa 20 gradi con vie non sempre naturali dove la forza fa da padrona. Estate dopo estate sono riuscito a salire ormai tutti i tiri fino all'8a ed ora, serve un nuovo progetto!

In falesia conosco dei ragazzi di Roma simpaticissimi che, in pochissimo tempo, conquistano la mia stima e ammirazione raccontandomi storie sul mio mentore, loro amico, Jolly Lamberti il cui libro ha ispirato e ispira tutti i miei allenamenti.

Uno di loro sta provando la soluzione finale, un ex 8a+ sgradato a 8a. Faccio subito il faina e visto che la via è già montata chiedo se posso provare anche io, i romani accettano di buon grado e mi spiegano i passi.

Al secondo tentativo do tutto, ma veramente tutto, purtroppo però ad un paio di spit dalla fine la via decide di sputarmi via e urlando come un pazzo delirante volo giù! Seguiranno altri due tentativi ma il massimale ormai mi ha salutato già da un po'.

Divano. Sono 2 giorni che ovviamente non penso ad altro se non ai movimenti. Ripasso le sequenze mentalmente simulando addirittura lo sforzo fisico, Jolly scrive che serve. Fra un pisolino e l'altro guardo il meteo e vedo che l'indomani pioverà, avevo in mente 3 giorni di riposo ma dovrò farmene bastare due, salgo in auto e in poco tempo arrivo in falesia dove di nuovo trovo gli amici romani che come me danno l'assalto alla via.

Mi sento piuttosto bene, quella sensazione che uno o due giorni all'anno capita a più o meno tutti gli arrampicatori mentre, il resto del tempo lo si passa generalmente a lamentarsi.

Solito riscaldamento sulle solite vie e poi parto fiducioso per il mio tentativo. So di star bene, ma ho anche imparato a non sottovalutare mai la via, di qualunque grado essa sia, a maggior ragione questa che rappresenta attualmente il mio limite. Ho imparato anche che non conta che sia facile o difficile, essa è estremamente onesta: ti dice sempre la verità. In arrampicata sportiva non si può barare, o si sale o si scende, non ci sono scorciatoie, è una sfida prima di tutto con se stessi ma si è anche inevitabilmente soggetti al giudizio degli altri arrampicatori, questo credo sia un bene. Mettersi in gioco aiuta a crescere e a confrontarsi.
Viviamo in una società che ci fa continuamente credere di essere i migliori, ci fa sentire protagonisti e ci galvanizza. Per fortuna esiste lo sport che immancabilmente ci fa tornare con i piedi per terra.

Calzo le scarpette e iniziano le danze, le prime sensazioni confermano ciò che già sentivo: sto benissimo! Mi sento fluido e delicato, magari fosse sempre cosi.

Arrivo oltre il passo chiave, ma non perdo la concentrazione, so che un errore sicuramente mi costerebbe un volo e non mi perdonerei di aver gettato al vento una cosi buona giornata.

Dopo poco rinvio finalmente la catena, sono contentissimo non solo perché ho chiuso il mio progetto in soli cinque giri ma anche perché finalmente al bar smetterò di ordinare mezzo litro di acqua frizzante con ghiaccio e limone
almeno per due o tre settimane!

 

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