Cima di Val Scura - via Manolo e Diego

Cima di Val Scura - via Manolo e Diego

Piove. Siamo in piena estate ma piove ormai ogni giorno, una cosa assolutamente normale in Dolomiti.

D'estate si alternano frequentemente periodi di alta pressione a periodi in cui l'instabilità meteorologica regna sovrana. Questo, neanche a dirlo, è un periodo di instabilità. Finalmente pare che un giorno di bel tempo sia alle porte e la voglia di fare un giro in montagna non manca, sento Gio e subito capiamo che abbiamo un problema: le pareti saranno fradice! Facciamo un briefing, ci prendiamo qualche ora per meditare e alla fine decidiamo di giocarci la carta Vette Feltrine.

Le feltrine sono montagne selvagge e le loro pareti sono protette da lunghi avvicinamenti che solitamente scoraggiano i meno volenterosi.

Data la loro bassa quota sappiamo bene che il periodo migliore per frequentarle sono le mezze stagioni, ma siamo altrettanto convinti che con un Agosto così forse un giro lo si potrebbe anche fare.

La meta è la via Manolo e Diego alla cima di Val Scura, una mia vecchia conoscenza, l'avevo già provata in un' uggiosa giornata di ottobre di una decina d'anni fa con Carlo, ma un po' per il pessimo meteo e un po' perché dopo il primo tiro abbiamo capito che le giornate erano più corte del previsto, siamo saggiamente scesi. Ho voglia di rimettermi in gioco, e spero di chiudere il conto da troppi anni in sospeso.

Il sentiero è ripido ma tutto sommato ci passa bene tra una chiacchiera e l'altra. Non abbiamo fretta siamo qui per vivere una giornata di montagna in compagnia come siamo soliti fare.

Appena la parete si lascia osservare veniamo catturati da delle enormi placche grigie a destra rispetto alla nostra via, li sappiamo correre delle vie molto impegnative, dove tutti i feltrini più forti tutt'oggi si cimentano e si mettono alla prova testando il coraggio delle generazioni precedenti.

Insieme alle impressionanti placche vediamo anche la nostra linea, purtroppo il primo tiro è fradicio, ma noi, in maniera forse troppo ottimistica pensiamo che si asciugherà.

Arriviamo alla base e ovviamente non ha asciugato. Tentenniamo mentre ci riposiamo seduti sull'erba, si sta cosi bene in montagna che mi sta quasi passando la voglia di scalare. Quelle montagne mi hanno sempre dato un grande senso di pace e tranquillità e oggi non è diverso.

Poco dopo Gio si alza e dice che è forse arrivato il momento di partire anche se è bagnato, visto che ormai è mezzogiorno e la via sicuramente ci darà del filo da torcere.

Il primo tiro lo si può affrontare dritti in artificiale oppure poco a destra in arrampicata libera. Solitamente preferiamo evitare l'artificiale ma visto il bagnato ci costruiamo una staffetta e partiamo. La sorte decide che tocca al mio socio il primo tiro, io l'avevo già salito durante il primo tentativo e me lo ricordo abbastanza bene e, per quanto posso, cerco di fornire indicazioni utili per affrontare le difficoltà che sulla relazione dovrebbero essere di massimo V+.

Arrivo in sosta e mi complimento con Gio, facciamo il punto della situazione e capiamo che la via ci costringe ad entrare in modalità power, fermo restando che il V+ è tutt'altra cosa rispetto a quello che abbiamo appena affrontato.

La relazione si beffa di noi proponendoci difficoltà sicuramente molto più basse rispetto a quelle che incontriamo, ora capisco perché è poco ripetuta.

Salgo faticando non poco, più salgo e più penso che quella volta che eravamo scesi avevamo fatto la scelta migliore per quel giorno!

La nostra previsione riguardo le temperatura si rivela poco attendibile e un caldo incredibile ci gonfia i piedi e non ci permette di concentrarci sulle difficoltà che, sempre secondo la relazione, non dovrebbero mai essere estreme.

Arriviamo sotto al tiro chiave, la relazione indica alcuni chiodi, ma ne vediamo solo uno. Gio parte e veloce rinvia il chiodo che c'è circa quattro metri sopra la sosta, nel mentre si gira e con sguardo poco rassicurante mi fa osservare come il chiodo venga via togliendolo con le mani. Impossibile affrontare il passo in tranquillità, scende scalando e fa vari tentativi poco fruttuosi.

Sono appeso nel vuoto ad alcuni chiodi mal conci e un chiodo traballante mi separa dal mio compagno, una situazione tutt'altro che piacevole e ce la siamo pure cercata!

Gio torna in sosta e ragioniamo insieme su cosa succederebbe in caso di volo. C'è poco da ragionare, il chiodo non terrebbe e il volo sarebbe diretto in sosta, se fosse a spit poco ci importerebbe ma una sosta in queste condizioni ci preoccupa parecchio.

Gio inizia un opera di persuasione secondo la quale io sarei più in forma di lui e quindi dovrei provare. Io in realtà non sono così convinto, non credo di voler correre quel rischio. Innanzitutto non sono assolutamente più in forma ma specialmente sono molto meno cuor di leone di lui! Il mio modo di andare in montagna non prevede questi rischi, parliamo anche di questo mentre appesi alla sosta scrutiamo i chiodi.

Alla fine una decisione la dobbiamo prendere e francamente scendere per la seconda volta mi dispiacerebbe non poco, decido di provare ma con la clausola che al minimo dubbio non avrei affrontato il passo e sarei sceso. Arrivo al chiodo traballante lo rinvio ma non mi sento per nulla sicuro, vado su e giù un po' di volte e poi rinuncio.

Non sappiamo nemmeno da quanto tempo siamo li appesi, abbiamo una responsabilità enorme, non solo la nostra incolumità ma anche quella del compagno. A questo, per quanto sia anche una componente del nostro lavoro, non ci si abitua mai e si cerca sempre di rischiare il meno possibile.

Gio di nuovo mi convince, di nuovo torno su e di nuovo torno giù, la situazione sta iniziando anche un po' a farci ridere, iniziamo a scherzare su quanto siamo scemi fino a quando diventa tragicomica quando, nel nostro teatrino, immaginiamo quanto riderebbero i nostri amici se ci vedessero salire e scendere come dei criceti.

Torno in sosta e inizio a riflettere: il passo che devo fare è intorno al VII, forse VII+ (anche se la relazione propone un ottimistico VII-), uno dei tanti passi di quella difficoltà che regolarmente affrontiamo da anni.

Continuo a pensare, valuto e rivaluto. Parto di nuovo per l'ennesimo tentativo ma questa volta arrivo al solito passo chiave, saluto il chiodo ballerino che insiste nell'osservarmi ghignando, e gli tolgo la soddisfazione di farlo sentire la mia cima.

Afferro le tacche e penso: se ci fosse uno spit saremmo già in cima, questi passi li sappiamo fare, facciamoli. Per fortuna lo spit non c'è obbligando me e il mio compagno ad affrontare le nostre insicurezze e i nostri demoni.

Stritolo gli appigli forse anche più del necessario, ma tra me e il volo ci sono solo le mie mani e devono essere solide, molto solide.

Gio esulta. Altri 30 metri difficili dove devo stare calmo, proteggermi e non fare errori, mi concentro e do tutto. Salgo, mi proteggo, salgo. Questo è lo schema. Il tempo non conta più, conta solo salire, proteggersi e salire ancora. Vetta!

In vetta poco prima del tramonto

In cima mi sento stanco e vuoto, nei giorni successivi ho pensato e ripensato a quella salita e all'insegnamento che mi aveva lasciato: Manolo e Diego ne avevano di coraggio!

Discesa dal Passo Forca

Nel complesso la via è molto bella, i tiri mai banali e in certi punti non bisogna assolutamente sbagliare itinerario pena difficoltà ancora più elevate. Purtroppo il fantastico calcare grigio compatto è un po' intasato di erba vista la bassa quota ma mi sento comunque di consigliarla agli amanti del genere. Portare sicuramente martello, friends, nut, tanta voglia di mettersi in gioco, una buona dose di esperienza e soprattutto un compagno fidato.


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