3 cime di lavaredo - Hasse Brandler

3 cime di lavaredo - Hasse Brandler

Io: "Cazzo che meteo!!!!!!!! Sabato Hasse?" - Carlo: "Si!"

E cosi che inizia un'altra giornata di montagna, di ghisa e di gioia.

Questa estate sto scalando parecchio, riesco a fare circa un paio di uscite alla settimana in falesia e almeno una via alla settimana in montagna, non è male come ritmo per provare a mettere a segno qualche bel colpo.

 


La settimana scorsa io e Carlo eravamo impegnati sulla Leviti in Tofana e, a dispetto della relazione, non ci è sembrata poi così dura, tanto che in discesa iniziamo a fantasticare su quanto sarebbe bello salire a vista la Hasse-Brandler in 3 cime.

Non ho mai scalato sulla vertiginosa parete nord della cima grande di Lavaredo, passo la settimana a guardare foto su foto e a pensare a come deve essere stare la appesi. Per fortuna so per certo che in via ogni tanto c’è qualche spit e specialmente le soste ne hanno tutte almeno uno, questo mi rassicura e inizio seriamente a pensare di poterla tentare a vista senza rischiare di sbottonare tutte le protezioni.

Con Carlo abbiamo un piano perfetto ovvero dividere la via in 3 parti: l’avvicinamento ai tetti, i tetti veri e propri e l’uscita in vetta. Decidiamo che lui farà la prima parte io la seconda e l’ignaro Checco la terza. Checco infatti non l’abbiamo ancora contatto ma abbiamo già deciso che verrà e che condurrà in cima la cordata quando i nostri avambracci saranno definitivamente esplosi!

Teniamo d’occhio il meteo finché non arriva il giorno di tempo stabile e specialmente di caldo torrido. L’ideale per andare a scalare a nord in 3 cime! Come previsto Checco accetta, Carlo si tiene libero dal lavoro e io prendo qualche antidolorifico per la solita caviglia.

Al mattino attacchiamo prima dell’alba ed è impressionante come ci siano già numerose cordate ben più in alto di noi! Devono aver per forza attaccato al buio! Carlo parte, io, Checco e il saccone lo seguiamo a ruota. I tiri iniziali non sono facili ma Carlo è in forma e, concatenandoli, supera qualche cordata.

La roccia è sicuramente molto marcia ma è talmente ripulita e carica di magnesio che siamo tutti abbastanza tranquilli.

Dopo poche ore arriviamo ai tetti, da qui in poi è il mio turno. Mentre riposo in cengia guardo le cordate sopra di me, e resto sbalordito. C’è chi sale con una staffa, chi con due, chi ha addirittura un jumar.



Mi chiedo il senso di tutto questo, non riesco a capacitarmi di cosa spinga un uomo a salire una parete in completa arrampicata artificiale esattamente come fecero parecchi decenni prima gli apritori, con la differenza che loro erano degli eroi che con mezzi assolutamente inadeguati affrontavano l’ignoto. Osservandole capisco subito che quelle cordate, oltre ad essere lentissime, sono anche poco abili con la loro costosa attrezzatura.

Fatto sta che il tempo passa e io, fermo in cengia, inizio a sentire un po' di ansia da prestazione infatti, così come Carlo, ho scalato tutta la prima parte a vista e non voglio assolutamente sbagliare nulla nella seconda parte.

Finalmente è arrivato il mio turno, mi spettano almeno cinque lunghezze molto fisiche su difficoltà costanti tra il VII e l’VIII superiore, insomma un bel test per le mie braccia.

Parto concentrato ma anche rilassato, i chiodi ci sono e ogni tanto anche qualche spit. Si tratta solo di scalare meglio che posso cercando di non sprecare mai più del necessario.



Carlo continua a seguirmi scalando a vista e ad ogni lunghezza mi incita, suggerendomi anche quale corda rinviare quando la scalata assorbe tutta la mia concentrazione. Nel mentre Checco scatta foto. Siamo una squadra perfetta!

Arriva il penultimo tiro di VIII lo scalo dando tutto, le braccia sono sempre più stanche e il vuoto sotto i miei piedi inizia a non farmi più sentire così sicuro di me stesso. Arrivo ad una presa buona guardo oltre e vedo la parete che, pur restando strapiombante, si appoggia leggermente lasciando intravedere qualcosa in più sopra la sosta.

Cerco di stare il più calmo possibile, anche se in questa situazione è tutt’altro che facile. Controllo il respiro e scalo verso la sosta sghisando meglio che posso. So che sono al limite, se sbaglio un movimento sicuramente non ho la forza necessaria per correggere l’errore.



Sosta! Anche questo tiro è stato scalato a vista! Recupero il saccone, Checco e Carlo. Non vedo l’ora di vedere la mano di Carlo spuntare dallo strapiombo, sicuramente farà uno dei suoi lamenti e la solita vena che gli solca la fronte sarà bella grossa.

Questa volta la realtà supera la fantasia e mentre lo recupero mi delizia con una sinfonia di gemiti e lamenti che mai avrei immaginato, per non parlare della vena, ben più grossa del solito! Che spettacolo, anche per lui il tiro è on-sight!

Ultimo tiro duro e poi cederò il comando a Checco, non vedo l’ora sono stanco morto.

Inizio a scalare con le braccia cotte già dal primo movimento, proseguo lentamente ma inesorabilmente fino a raggiungere una presa rovescia formata da un bel blocco giallo tutto fessurato.

Afferro il blocco e la mente inizia a divagare, è l’ultima presa gialla della via da lì in poi la parete spiana (solo VI grado) e diventa grigia. Idealmente per me quel blocco è la porta d’uscita da quel mondo strapiombante, aspro e severo, ma che tanto amo.

Sono sul bordo della parete e ne sto per uscire, ma si sa che nei bordi succedono sempre le cose più interessanti, dove mondi diversi si sfiorano, si osservano e si studiano a vicenda. Non ho mai capito se i confini sono fatti per contenere qualcosa o per essere valicati alla ricerca di qualcosa ma in questo caso specifico sicuramente il confine dettato dalla presa gialla deve essere valicato.

Il mio biglietto di sola andata verso il mondo verticale è quel blocco giallo, lo devo solo tirare. Inizio cautamente a impostare la sequenza ma un crampo al braccio destro mi rende l’uscita dagli strapiombi tutt'altro che semplice. Sono costretto a sghisare in posizioni contorte mentre Carlo e Checco mi incitano.

Sghiso, riprendo il blocco giallo fessurato ed esco da quell’inferno strapiombante! Finalmente il mio peso è totalmente distribuito sui piedi. Mi mancano ancora parecchi metri alla sosta ma sono veramente cotto, improvviso quindi una sosta e recupero il resto della squadra.

Carlo arriva in sosta, anche lui è stanco morto ma trova ugualmente il tempo di criticare la mia sosta e, alla mia domanda “cosa avrei dovuto fare?” risponde con un lacunoso “c’erano mille modi migliori per farla”. Checco ci guarda e scoppia a ridere, proseguo fino alla vera sosta, mi siedo e cedo finalmente il comando a Checco.

Checco è ovviamente molto provato e quindi arrivare in vetta sarà tutt’altro che una passeggiata ma per lo meno qui i piedi a qualcosa si appoggiano!

 



Tiro dopo tiro la vetta si avvicina sempre più, Checco ogni tanto ci maledice per averlo portato qui come prima via della stagione, ma non lo badiamo più di tanto, in fondo è sempre lo stesso Checco che qualche anno prima ha sciato con noi dalla cima del Civetta con entrambe le caviglie rotte, sia ben inteso, se le era rotte qualche settimana prima, ma di rinunciare al Civetta non ne voleva sapere!

Tra un lamento e l’altro siamo in cima! On-sight per me e Carlo, alpinismo eroico per Checco, gran giornata per tutti e tre!

Arriviamo per cena all’auto, molto stanchi ma con in saccoccia non solo l’Hasse-Blander a vista ma soprattutto un’incredibile giornata di montagna vissuta ai confini tra l’arrampicata sportiva e l’alpinismo classico.

La Hasse è una via incredibile, affronta in maniera più che logica la repulsiva parete nord. Gli apritori avevano coraggio da vendere e attrezzatura assai limitata, credo che al giorno d’oggi per valorizzare veramente un’ascensione del genere bisognerebbe almeno provare a scalarla senza l’uso di mezzi artificiali. I chiodi e gli spit sono presenti lungo tutti i tiri duri e un volo non dovrebbe portare a conseguenze troppo gravi. Sicuramente una grandiosa arrampicata che consiglio assolutamente.

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